IL LAVORO MINORILE IN FILANDA

«I fanciulli entravano dai cancelli della filanda alle cinque o alle sei di mattina, e ne uscivano alle sette o alle otto di sera. L'unica sosta durante questa reclusione di 14 0 15 ore era costituita dai pasti, al massimo mezz'ora per la colazione e un'ora per la cena. Ma questi intervalli significavano unicamente un mutamento di lavoro: anziché badare a una macchina in azione, pulivano una macchina ferma, sbocconcellando il loro pasto come meglio potevano in mezzo alla polvere e alla lanugine che soffocava i loro polmoni. Le 40 0 50 ore di reclusione per sei giorni la settimana erano ore regolari, ma nei momenti di gran lavoro l'orario diventava elastico e talvolta si allungava a un punto quasi incredibile. Il lavoro dalle tre del mattino alle dieci di sera non era sconosciuto. Era materialmente impossibile mantenere intatto questo sistema se non con la forza del terrore. I sorveglianti non negavano che i loro metodi fossero brutali, ma dovevano o esigere la quantità
completa di lavoro o essere licenziati, e in queste condizioni la pietà era un lusso che padri di famiglia non potevano permettersi.
Le punizioni per il ritardo la mattina dovevano essere così crudeli da vincere la tentazione, nei fanciulli stanchi, di restare a letto più di tre o quattro ore.
In alcune filande a malapena un'ora in tutta la giornata passava senza rumore di battiture e grida di dolore. I padri picchiavano i figli per salvarli da battiture peggiori da parte dei sorveglianti.
Nel pomeriggio lo sforzo diventava così pesante che il bastone di ferro usato dai sorveglianti per picchiare era continuamente in attività, e anche allora non era raro il caso che un fanciullo più piccolo, nell'addormentarsi, rotolasse dentro la macchina accanto alla quale lavorava, in modo da rimanere storpio tutta la vita o, se era più fortunato, da trovare la morte»

(Adattamento da Bentrand Russel, Storia delle idee del XIX secolo, Torino 1959)