LA CITTA' OPERAIA

Un grande romanziere inglese dell'Ottocento, Charles Dickens, così descrive una città operaia inglese:

«Era una città di mattoni rossi, o meglio di mattoni che sarebbero stati rossi se il fumo e la cenere lo avessero permesso; ma, così come stavano le cose, era una città di un rosso e di un nero innaturale, come la faccia dipinta di un selvaggio. Era una città di macchine e di alte ciminiere dalle quali uscivano senza soluzione di continuità interminabili serpenti di fumo che mai riuscivano a svolgersi.
Aveva un canale nero, un fiume color porpora per le vernici maleodoranti, e vasti gruppi di edifici pieni di finestre, dove tutto il
 giorno era un continuo battere e tremare, dove gli stantuffi delle macchine a vapore si muovevano in su e in giù, monotoni come la testa di un elefante in preda a una pazzia malinconica.
Aveva molte strade larghe tutte uguali una all'altra e molte viuzze ancor più simili una all'altra, abitate da persone ugualmente simili le une alle altre, che uscivano e rientravano tutte alla stessa ora, con lo stesso scalpiccio sugli stessi selciati, per fare lo stesso lavoro, persone per le quali ogni giorno era eguale al giorno precedente e all'indomani, ogni anno il duplicato dell'anno trascorso e dell'anno a venire».

(In CHARLES DICKENS, Tempi difficili, cap. 1)